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Lifestyle

Dis-Human Flow

When there is nowhere to go, nowhere is home.

AI WEIWEI

MIGRAZIONI DI MASSA E CAMPI PROFUGHI

Diversi sono gli artisti che negli ultimi anni conducono battaglie bianche per portare alla luce quello che ormai è diventato un esodo di massa che ha coinvolto oltre 65 milioni di persone in tutto il mondo.
Si sono fatti ambasciatori, per denunciare e documentare questo enorme flusso umano costretto a lasciare i propri paesi e ad abbandonare le proprie case per motivi ambientali, per carestie o guerre.
Mi riferisco in particolar modo al fotografo Sebastiao Salgado e all’artista Ai Weiwei, entrambi hanno rischiato le loro vite più volte.
Di Sebastiao Salgado vi suggerisco il capolavoro EXODUS, a volte difficile da reperire, è una raccolta molto toccante di vite al limite, che scorrono, che arrancano, che scompaiono.
Di Ai Weiwei un collage che ha dato vita ad un documentario straordinario che si intitola Human Flow. La forza della pellicola che testimonia la disperazione attraverso movimenti e suoni, riproduce sussurri, voci spezzate, pianti.

LA MIA ESPERIENZA

La Giordania è un paese cuscinetto che ospita quindici campi profughi di sfollati e rifugiati. Dieci sono destinati ai palestinesi e cinque ai siriani.
Proprio qui sorge il più grande campo profughi del Medio Oriente, il più grande rifugio del mondo per i profughi siriani. Sto parlando del campo di Zaatari. Attualmente ospita oltre 76.000 rifugiati, e per popolazione rappresenta la quarta “città” più grande della Giordania.
Questo campo è amministrato dal governo giordano in collaborazione con l’Unhcr, l’ONU e Ong internazionali e nazionali che forniscono assistenza sanitaria, istruzione, cibo e accoglienza.
In questi campi i tempi di permanenza, che dovrebbero essere “temporanei”, raggiungono a volte la durata della vita intera di queste persone.
Già dall’Italia avevamo davvero tentato con ogni mezzo di prendere contatti con realtà e persone che potessero in qualche modo “avvicinarci” ai campi profughi esistenti in Giordania. Ma neppure in loco siamo riusciti ad avere un contatto umano e proficuo con queste realtà blindate.
Ogni famiglia era venuta in viaggio con un bagaglio supplementare da destinare ai bambini, peluches, bambole, quaderni, libri, colori, abiti e scarpe.
Ci siamo trovati ad implorare gli ufficiali, non per entrare, ma soltanto per poter lasciare lì nella guardiola le nostre merci, da ispezionare e poi da distribuire a loro discrezione.
Sarebbe stata una goccia nell’oceano.
Ci è stato proibito. Come a noi, ad altri.

Vi chiederete che cosa ne abbiamo fatto vero delle valigie? Le abbiamo lasciate all’ufficio d’ingresso del deserto del Wadi Rum. Dove l’ufficiale, grato, ci raccontava per la comunità beduina quanto fosse importante l’aiuto reciproco e la condivisione per sopravvivere a condizioni estreme come quelle del deserto.

CONCLUSIONI

Viaggiare vuol dire anche questo. Un tour non è fatto soltanto di belle destinazioni, ma di un contatto vero e reale con le problematiche di quei luoghi e ove possibile agire, lasciare traccia di noi, della nostra umanità.
La fortuna che abbiamo ogni qual volta ci concediamo un viaggio, una vacanza di riposo, per noi, ci concede sempre di volgere lo sguardo verso chi è meno fortunato e di tendere la mano.

Leggi qui il mio diario di viaggio in Giordania.

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